Ci eravamo lasciati a luglio con la prima parte di questa bellissima storia. Le emozioni che trasmette questo racconto non sono finite, ecco il seguito.
Il giorno che diventammo una famiglia
Il 29 maggio è una giornata speciale, la giornata in cui finalmente tutti noi, Marco, Roberta, Julia e Samuel ci siamo ritrovati e siamo diventati una famiglia. Da allora è il nostro giorno della famiglia, segnato sul calendario. Dopo un po’ di tira e molla del direttore dell’orfanatrofio, che nicchiava a far andare via i bambini, ottenemmo di andare via con loro. Dopo le foto di rito, salimmo in auto e via verso casa. Julia verso la fine aveva capito che c’era qualcosa di diverso dal solito e salita in auto era un po’ spaurita, ma la tensione l’ha fatta sprofondare in un sonno pesante tra braccia del papà seguita poco dopo da Samuel (il suo nome è Okonkuo).
Anche al nostro arrivo continuarono a dormire, noi cenammo e poi, in camera, ci guardammo con gli occhi che luccicavano, li guardammo, erano con noi, eravamo felici; li avevamo desiderati per oltre tre anni, qualche volta avevamo pensato di averli con noi per poi vederceli allontanare per motivi che non capivamo: non è stato facile per nessuno di noi affrontare questi tre lunghi anni, ma alla fine erano lì sul nostro letto addormentati come due angioletti.
Lasciammo una luce accesa per evitare che, qualora si fossero svegliati, non si sarebbero spaventati; ed infatti verso le 2.00 li sentimmo muoversi. Lui non ci mise molto a riaddormentarsi, mentre Julia ci cercava, ci toccava, accarezzava. Sembrava agitata, ma alla fine si riaddormentò anche lei abbracciata al braccio del papà. Al nostro risveglio, eravamo tutti insieme nei lettoni a giocare, poi scendemmo per la nostra prima colazione, insieme, ed andammo, in seguito, al centro commerciale per cercare delle scarpette. Lei era tesa, in macchina, forse aveva paura che la riaccompagnassimo all’orfanotrofio o forse era la prima volta che vedeva tutte quelle cose, macchine, moto, persone, la strada: tutto era nuovo per lei. Nel centro commerciale avevano proprio paura, un luogo che non avevano mai visto ne’ immaginato. Solo alla fine la bimba si era un po’ sciolta, ma rimase tesa tutto il tempo. Sapevamo che lei aveva bisogno di assorbire con più calma queste emozioni, queste sollecitazioni, mentre Samuel era più piccolo e quindi meno impressionabile. Tornati a casa, Samuel crollò, mentre Julia giocò con la sua nuova bambola. Vorrei riuscire a descrivere le nostre sensazioni in quelle prime ore di contatti con loro, ma erano un pianeta da scoprire, e credo che anche noi eravamo lo stesso per loro. Samuel divenne sempre più giocherellone, e Julia sempre più affettuosa, noi eravamo semplicemente felici.
Primo appuntamento con il mare
Un giorno andammo alla casa dove stavano i nostri amici di Milano, ospiti di una famiglia italiana che vive in Nigeria da oltre vent’anni, e che sono splendidi. Hanno “adottato” anche noi e gran parte della nostra permanenza in Nigeria l’abbiamo passata a casa loro, facendoci sentire meno soli. Quel giorno venne fuori la proposta di andare al mare. Ci armammo del necessario e, bimbi in spalla, andammo verso la spiaggia che per fortuna non dista molto. Una colonna di adulti e bimbi bianchi e neri, in marcia come sfollati verso la spiaggia. Non pensate ad una versione africana di Riccione o del Plinius di Ostia. Spiaggia molto profonda, non sporca, ma nessun africano in spiaggia. D’altronde, che ci vanno a fare? All’inizio Julia era molto impaurita sia dalla sabbia e sia dal mare, mentre Samuel era molto curioso: guardava il papà con i piedi in acqua con lui in braccio, osservava l’orizzonte, le navi, per nulla spaventato.
Dopo circa un’ora riuscimmo a convincere Julia a toccare terra, giocò un po’ con la sabbia, e poi finalmente andò fino all’acqua, mano nella mano. Alla prima onda fuga con urletti, ma testarda e divertita, ci riprovò e alla fine si fece spogliare per farsi portare in acqua. Andava tutta nuda avanti e indietro, urlando per la gioia e la sorpresa di questo nuovo elemento scoperto. Fu una giornata molto bella, piena di sorprese, di contatti con la città non solo dentro il taxi, ma camminando per il centro, con le macchine e le moto che sfrecciavano, colori e suoni nuovi, il mare. Il rientro li vide crollare come mai era accaduto. Erano stanchi ma felici; quanto poco ci vuole per rendere un bimbo felice, quanto poco si fa per renderli tali. Una loro risata, di autentica e semplice gioia, è qualcosa che ti scalda l’anima, ti fa sentire migliore. Grazie piccoli, per tutte queste magnifiche esperienze e sensazioni che ci avete regalato.
Finalmente ci vennero a trovare i servizi sociali nigeriani per verificare come si stavano ambientando Julia e Samuel. Poche semplici domande (cosa mangiano, cosa non mangiano, dormono, ecc) e via. A seguito di questa visita potemmo andare dal giudice per l’udienza che avrebbe ufficializzato l’adozione, dando ai nostri due bimbi il nostro cognome e che ci permise anche di cambiare la casa dove stavamo. Quella che ci era stata offerta dall’associazione andava oramai stretta. Problemi con la luce, il mangiare e gli spazi. Grazie al driver trovammo un residence con spazio enorme, quattro camere con bagno, salone, cucina, tre piscine con bar e tele, uno spazio gastronomico aperto tutte le sere con concerto. Sembrava quasi di essere a Rimini. Ci facevamo da mangiare da soli e la piscina era uno sfogo per i bambini. Ci capitò spesso di essere fermati da persone del posto che ci chiedevano perché avevamo due bimbi di colore diverso. La cosa sembrava una novità da queste parti, ma comunque è sempre stata accolta con molto favore, dopo aver spiegato che li avevamo adottati.
Finalmente arrivò il giorno di andare in tribunale, dove un giudice ci lesse la sentenza definitiva, e almeno per lo stato nigeriano da oggi sono i nostri figli. Pochi minuti, dopo mesi di attesa. Un’aula un pò sgangherata, i cancellieri che preparavano le pratiche pochi minuti prima dell’arrivo del giudice, tante chiacchiere e tanta paura (cosa ci avrebbe chiesto, se l’avremmo capita, visto che l’inglese nigeriano è un po’ diverso da quello a cui siamo abituati) ed invece solo mera burocrazia e una firma.
Le giornate proseguirono con il solito tran tran, tra legalizzazioni dei documenti da inviare in Italia alla CAI per ottenere l’autorizzazione all’ingresso dei minori e attesa per l’autorizzazione definitiva del NAPTIV (organismo nigeriano che verifica che tutto sia corretto e non si tratti di traffico internazionale di minori).
Nel frattempo fu bellissimo vedere Samuel e Augustin (il bimbo adottato dalla coppia di Milano e di poco più piccolo di Samuel) diventare sempre più affiatati. Giocavano sempre insieme, si abbracciavano e si baciavano quando ce ne andavamo.
In quei giorni di attesa cercavamo le residue energie rimaste e occasioni per riempire le giornate. Andammo ancora al mare con una giornata bellissima ma con il mare molto sporco. E vedemmo anche come sparisce la spazzatura dalla spiaggia; semplicemente dentro tante buche. Passammo anche due giornate al mercato nigeriano, uno per cercare la moto per Samuel e uno a caccia di stoffe. Non so quale delle due giornate sia stata la peggiore. La prima con Julia al seguito. La seconda ad attendere ore che le donne scegliessero le stoffe. Un mercato molto caotico, ricco di colori come tutti i mercati, con lo stregone e il suo carretto, con le venditrici di pesce affumicato. Trovi di tutto, ma non le moto che poi abbiamo preso al supermercato.
Passammo alcune ore all’interno della Riserva Naturalistica di Lekki, la meglio tenuta della Nigeria, con all’interno coccodrilli, uccelli, scimmie, tartarughe e pavoni, ma di coccodrilli e uccelli nessuna traccia. Un percorso su una passerella di legno di circa un paio di chilometri ti accompagna all’interno della foresta, ma magari vuoi il periodo vuoi altro, abbiamo visto poco. All’uscita, però, abbiamo incontrato una enorme lucertola e gli scheletri di due coccodrilli.
Tornammo anche all’orfanotrofio per i saluti con i bimbi all’inizio molto spauriti, silenziosi, ma che dopo un po’si sono sciolti e sono tornati ad essere quelli di sempre. I loro amici sono stati molto contenti di rivederli e anche le maestre, la cuoca e la direttrice gli hanno fatto mille feste. Pensavamo che avrebbero reagito molto peggio e siamo stati sollevati che sopratutto Julia abbia reagito bene.
Purtroppo quando eravamo ormai convinti che si stava per ripartire arrivò la notizia che non c’era possibilità di ottenere i passaporti per i bimbi qui a Lagos. Dopo giorni di tentativi la LIFE Foundation si dovette arrendere. Si dovette andare in aereo a Calabar insieme ai bimbi per ottenerli. Fu un viaggio allucinante, con la partenza del volo che venne spostato ripetutamente dalle 10.45 alle 18.30 ed arrivati lì un andirivieni tra Ufficio Immigrazione e Ministero perché c’era sempre qualcosa che non andava, ma alla fine, nel tardo pomeriggio riuscimmo finalmente ad avere i tanto agognati passaporti e a tornare a Lagos. Una volta tornati ci fu ancora qualche giorno di attesa con Enzo B a fare pressioni sulla CAI per ottenere l’autorizzazione a rientrare in italia e finalmente il 25 luglio 2012 partimmo per arrivare il 26 mattina a Roma.
Malgrado la fatica e le paure del momento, della nostra avventura nigeriana ci rimangono meravigliosi ricordi e due bimbi splendidi.