In questi tiepidi mesi autunnali, abbiamo deciso, come molti di voi sanno, di mettere a disposizione delle famiglie un percorso formativo, dedicato, ovviamente, all’adozione internazionale a 360°. Durante il secondo modulo del corso, “Gestione dell’Adozione”, abbiamo dedicato un incontro alle testimonianze delle famiglie, che abbiamo raccolto negli anni di lavoro. Vogliamo riproporne qualcuna, così che possiate leggerle e ritrovarvi, magari, anche voi in queste parole.

 Durante il periodo di pre-adozione…

 “L’impressione è quella di non essere adatti” Durante il percorso con i servizi sociali, per molte coppie che sono passate da Enzo B, ci sono stati momenti in cui si ha avuto l’impressione che il professionista con il quale ci si stava confrontando spingesse a desistere.
A fronte di questo invito ci si sente, ovviamente, come se non si fosse stati ritenuti adatti a questo percorso, non tanto in riferimento alla complessità burocratica e a viaggi in posti pericolosi, ma in riferimento alla genitorialità in sé. “E’ per metterci alla prova?” Può darsi! Ogni professionista utilizza gli strumenti secondo lui più idonei per rendervi consapevoli del percorso che state affrontando. Il nostro consiglio, anche se banale, è quello di essere sempre se stessi.

Si parte! Durante il lungo periodo in cui si sta adottando…

 “Sapete la data della partenza?” Secondo i racconti delle famiglie, la data della partenza si rivela un chiodo fisso quasi più della chiamata per l’abbinamento. Ciò che li separa dal concludere il loro progetto adottivo è una data, che però sembra non arrivare mai. Frase tratta dal racconto di una nostra famiglia adottiva: “Saremmo dovuti partire a maggio 2011 ma la nostra partenza venne ritardata a giugno, poi a luglio, poi ad agosto, per non sapere più nulla della partenza per tanti mesi, che hanno pesato come macigni sul nostro equilibrio psico-fisico. Ma finalmente partivamo, finalmente il 17 maggio partimmo.” Questa coppia è partita un anno dopo rispetto a quanto era previsto all’inizio. La partenza, molto spesso, arriva in ritardo, anche di tanti mesi, rispetto a quanto prestabilito. Farsi prendere dallo sconforto? Capita sempre, ma, come raccontano i genitori sopra, prima o poi il giorno arriva, per cui bisogna tenere duro!

Qual è il principale problema del ritardo della partenza, avvertito dalle famiglie? “Dal nostro punto di vista, soprattutto pensando ai bambini, un anno sprecato.”  Ciò che pesa più di tutto è sapere che quel tempo lo si sarebbe potuto passare con il proprio figlio! Si fa il conto di un altro Natale perso, di un altro compleanno passato divisi, della vacanza che sarebbe potuta essere una vacanza di famiglia mentre, ancora per un’altra estate, è ancora una vacanza di coppia; soprattutto, però, si pensa al proprio bimbo che “perde” un altro anno di vita in orfanotrofio. Questi pensieri, e il rimpianto del tempo non passato insieme, da quanto ci riportano le famiglie che hanno vissuto questa esperienza, vengono, in qualche modo, accantonate nel momento in cui si comincia la vita con il proprio figlio, che non vi darà il tempo né le energie di pensare al passato.

“Siamo abbinati ad un bambino di cui sappiamo solo pochi dati”. Quando viene accettata la proposta di abbinamento con un minore, nella testa dei genitori, come è ovvio che sia, scatta qualcosa. Il bambino che per tanto tempo hanno aspettato ha un nome, un viso, un’età. Ovviamente le famiglie ricevono una relazione medica e una sociale del minore, poche foto, ma sentono comunque la necessità di saperne sempre di più sul proprio figlio. Questo perché le coppie sentono di dover arrivare pronte al massimo delle proprie capacità al giorno in cui accoglieranno il figlio, un po’ come capita con un figlio biologico. In questo caso, però, sapendo che il figlio ha già un suo carattere, dei suoi gusti, dei suoi sentimenti e non potendoli conoscere se non dopo averlo incontrato, i genitori vivono una sensazione di mancanza, proprio verso la persona per cui meno vorrebbero avere delle mancanze. Il dispiacere, nell’attesa dell’incontro, di non conoscere quello che ormai è il proprio figlio è sicuramente un elemento che accomuna moltissime famiglie. Sappiate comunque che quella stessa voglia di saperne di più e il più possibile è la stessa del vostro futuro figlio e come per ogni rapporto, sarà in realtà il tempo trascorso assieme a permettere di conoscervi e fidarvi gli uni degli altri.

 “E’ come essersi iscritti alle medie e ritrovarsi al liceo” Un’espressione che ha usato una nostra famiglia per descrivere la loro adozione in Africa e che potrebbe riassumere efficacemente l’impressione che hanno moltissime famiglie che intraprendono il percorso adottivo. La difficoltà maggiore, infatti, è sempre quella di dover affrontare i momenti di attesa nelle diverse fasi, che si allungano a volte a dismisura, ma anche il non sapere il perchè si stia attendendo così tanto, le notizie non belle che arrivano dai paesi, le notizie che NON arrivano.
Purtroppo non possiamo che sforzarci di ricordare che molto spesso aspetti per noi scontati, come l’immediatezza delle comunicazioni, non sono invece per nulla scontate in altre aree del mondo. Vero è che anche da noi i tempi della burocrazia sono spesso lunghissimi, quindi almeno questo è un aspetto che dovremmo essere in grado di capire.

“Ho fatto ormai il giro del mondo” Un’espressione usata da chi ha dovuto cambiare paese in corsa, anche più di una volta. E’ successo e può succedere: a volte l’adozione prende vie inaspettate. Cosa provano queste famiglie? Ormai la testa era verso Africa/ Viet Nam ecc, ci si informa sul Paese, si aspetta rivolti a quel paese, ma alla fine bisogna spostare il tutto verso un’altra parte del mondo e ricominciare da capo a sognare.

Una volta a casa: post adozione

“Sembra che sia sempre stato con noi” Un’impressione che accomuna moltissime delle famiglie adottive, ovvero quella che il bambino sia parte della famiglia da sempre. Forse questo non ce lo si aspetta se si pensa all’adozione, dal momento che si comincia il percorso parlando due lingue differenti e avendo abitudini di vita differenti ( e come potrebbe essere diversamente appartenendo a due diversi continenti?). Si può pensare che sia un percorso lungo quello che porta il bimbo a sentirsi parte della famiglia, ma, quasi sempre, le nostre famiglie fin dai primi mesi hanno l’impressione che il bimbo sia con loro da tutta la vita.

“Sono delle spugne” Non saper comunicare con il proprio figlio è una delle maggiori preoccupazioni che caratterizza i genitori quando sono prossimi ad incontrare il bambino. La difficoltà maggiore, nel rapportarsi con il figlio i primi giorni, è legata proprio alla lingua. “E’ difficile capire cosa vuole”: i genitori passano le prime giornate a cercare di tradurre le parole del figlio e interpretare i suoi voleri, ovviamente con l’ansia di non capirlo e di fargli mancare qualcosa. Quello che stupisce sempre tutti è, invece, che si ha l’impressione che questi bimbi abbiano una sorta di potere magico, con il quale imparano la nostra lingua in brevissimo tempo; dopo due o tre mesi i bimbi, infatti, padroneggiano l’italiano abbastanza bene, dopo 6 mesi lo parlano in maniera sorprendente. Ovviamente, il tempo di apprendimento dipende da bambino a bambino e da situazione a situazione. Si è notato anche che l’apprendimento di una nuova lingua dipende dalla conoscenza e l’utilizzo prima di tutto della propria lingua madre: ci sono dei casi in cui il bambino non riesce a parlare bene e non padroneggia la sua prima lingua, perché non è stato seguito e non ha avuto un’educazione di base e quindi questo porta a qualche difficoltà in più ad apprendere la nostra lingua.

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